Sono salito sul Rosetta questa estate, in un rara mattinata di calma. Sopra, al rifugio, trovo dei giovani, miei amici, con due ragazze inglesi, conosciute solo qualche giorno prima. I gesti affettuosi tra loro sono molto espliciti e “slanciati”. Uno di loro mi dice “sai, la mia ragazza mi ha lasciato da poco e Cristine adesso è la mia consolazione. Il mio è più uno sfogo che l’inizio di una storia vera”. Sono stato educato con una qualche parsimonia e ristrettezza di gesti, da salvaguardare, da chiudere con gelosia allo sguardo altrui. Dichiarare un sentimento, uno stato d’animo è sempre stato difficile, credo un po’ per tutta la nostra generazione, per cui guardo anche con piacere questi gesti non furtivi, non rubati, alla luce del sole. Scendendo trovo dei ragazzi di una parrocchia, che con fatica stanno salendo al rifugio. Capisco che anche per loro conquistare la montagna è uno “sfogo”, ma mi auguro che possa diventare un ‘arte ed una passione.

A cena, ieri sera, Andrea che lavora in una agenzia di viaggi, mi dice che quel giorno ha fatto la prenotazione di una settimana a Barcellona per una ragazza di 16 anni ed il suo ragazzo di 19 anni. A tutti noi che siamo a tavola prende un po’ di stupore e di incertezza. Non commentiamo più di tanto, ma credo che tutti noi silenziosamente ci domandiamo “e se fossero nostri figli, a noi andrebbe bene?” Ed anche “caspita, forse è un po’ presto, forse ci vorrebbe più tempo a disposizione, prima di questo viaggio, così delicato e speciale?” Forse, però un viaggio diventa l’opportunità per quel viaggio che non finisce mai, l’entrare in se stessi e scoprire l’altro, non come possesso. Viaggio sempre nuovo ed imprendibile.

Serena è venuta a trovarmi in ufficio, ha tre figli e mi rimprovera di essere troppo poco “normativo” con i giovanissimi del gruppo che rischiano di prendere la sessualità ed i suoi gesti troppo alla leggera. E’ un colloquio lungo e non senza tensioni in cui entrano paure, dubbi, scelte educative, desideri e speranze. Alla fine non riesco del tutto a renderla convinta di stare sui “significati” più che su quello che si può e non si deve fare. Neppure lei convince me del tutto che facendo leva su volontà e principi chiari si ottengono i “risultati” sperati. Già, mi chiedo quali risultati? Anche se capisco bene tutta la sua preoccupazione ed i suoi timori.

Anna è stata in Inghilterra per una vacanza studio e ha perso la testa per un ragazzo incontrato lì. Mauro, il suo ragazzo di qui, l’ha scoperto su Facebook e non l’ha presa bene. Una notizia delicata, visibile oltretutto da altri, disturba e dispiace. Per me, che ho quasi cinquant’anni, Facebook ed altri mezzi sono troppo veloci, compulsivi. Al Belvedere, a Vienna, ho apprezzato però i 14enni della mia parrocchia, rapiti da Klimt. “Il bacio” e “l’abbraccio” in particolare. Ed anche dagli altri impressionisti. C’è una forza struggente nei protagonisti di questi quadri, che li rendono simbolo di ogni amante. Alessandra mi dice : il “tessuto” che li copre nel quadro, in verità, li rende aperti e nudi a loro stessi. Comunicano in verità, più o meno quello che cerchiamo di fare tutti, con fraintendimenti, e a volte, attraverso compulsioni incontrollate.

Gilberto questa estate nella nostra route in bicicletta usa parole con allusioni pesanti rispetto al sesso. A me non piace molto, mi sembra un linguaggio fuori posto ed esagerato. Poi mi viene in mente che a volte anch’io per superare una timidezza, per provarci meglio in un campo da esplorare, esagero un po’, ci aggiungo qualcosa di più colorito, più ad effetto. Forse è il suo modo per dire “mi sto preparando, è tempo di giocare anche questa partita non scontata ed io non la temo”. Così invece di guardarlo strano provo ad intuire di cosa lui vorrebbe parlare quando dice “f***”, “g***”, “kamasutra” …

Infine, in questi giorni ho visto il film “To the wonder” (che vi consiglio). Senza valutazioni etiche dei comportamenti e dei sentimenti, il film ci comunica che l’amore è l’unica salvezza possibile per l’uomo. Teorie ed idee, allestimenti concettuali della vita, piattaforme idealistiche nel film cedono il passo a “questo Amore che ci ama”. L’ultima parola del film è “Grazie.”

“Io non giudico nessuno”, dice Gesù. “Questo Amore che ci ama” per noi si incrocia nella sua persona ed esistenza in cui l’accoglienza e l’ospitalità vengono prima del giudizio, delle idee, delle nostre griglie valutative.

Così la peccatrice che ha solo lacrime e profumo per i suoi piedi riceve da lui il suo nome più vero, “è colei che ha molto amato; “la donna cananea, pagana, diventa “colei che ha più fede di tutti i credenti d’Israele”; Zaccheo colui che da solo percepisce la fantasia del bene; la Samaritana, straniera anche lei, la donna a cui per prima viene affidato il segreto della sua identità più profonda ”sono il Messia”.

Cari capi, non so bene cosa dirvi. Mi sembra davvero interessante quello che dice Gesù “io non giudico nessuno”. In modo un po’ paternalistico, butto alcune piste. Apprezzate la forza e la creatività con cui i nostri ragazzi dispiegano la loro vita, anche quando non sono in “regola”. Cercate la verità nascosta delle loro “trasgressioni”. Amate in loro quello che magari contraddice noi ed i nostri schemi, confermando la loro bellezza,magari parziale, potete indurre un cambiamento, un salto di qualità, una meraviglia (wonder) più grande. Godete che delle grandi leggi della vita, della fascinazione e del mistero dell’amore i nostri ragazzi colgano ora solo un pezzo, la pienezza arriverà domani come frutto maturo e buono da mangiare e non come sterile osservanza. Immaginate per voi parole e gesti che mettano i ragazzi a loro agio e che permettano a loro di dire l’inesprimibile, ciò che per sua grandezza è infinito, come le pulsioni del nostro corpo, i sentimenti che ci sorpassano, l’incontro stupendo tra l’uomo e la donna. Accettate di non aver risposte e di non darle scontate e banali. E di non darle subito. Il nostro tempo ci ruba la povertà di non sapere, di non comprendere tutto. Non diventiamo pedagogisti, apprendisti stregoni, non puntiamo alle tecniche ma a stare loro accanto. Accogliete i loro silenzi, le mezze parole, le cose che non riescono o non vogliono dirvi, lasciateli piangere senza bloccarli.

Magari in una notte, accanto al fuoco, potete aiutarli a nominare l’abisso che si muove dentro ad ogni cuore, potete raccogliere il loro sogno e mostrare loro che è un desiderio realizzabile, potete introdurre altre visioni che allarghino purezza e gratuità.

“Io non giudico nessuno”, ad ognuno di loro potete dire (ed accarezzare con la vostra benevolenza), come il Maestro : “che ricchezza nel tuo cuore!”; “che forza i tuoi sentimenti!”; “sei una persona che sa davvero amare!”; “che fuoco caloroso la tua passione!”; “che limpidezza nel tuo cercare l ‘altro/a!”, che meraviglia esplosiva si muove dentro di te!” …

“Io non giudico nessuno”. Con l’amore, il non giudizio, la forza più potente dell’universo. O forse l’altra faccia dell’unica medaglia dell’amore che cerchiamo, riceviamo, doniamo. “Di quell’Amore che ci muove”. Grazie!

Don Leopoldo Voltan

tratto dalla rivista per Capi, SCOUT Proposta Educativa”

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